PIER PAOLO PASOLINI

"IL TEATRO DI PAROLA"

Pier Paolo Pasolini Teatro

«Il Teatro che vi aspettate, anche come totale novità, non potrà mai essere il Teatro che vi aspettate. Infatti, se vi aspettate un nuovo Teatro, lo aspettate necessariamente nell'ambito delle idee che già avete; inoltre, una cosa che vi aspettate, in qualche modo c'è già. Non c'è nessuno di voi che davanti a un testo o a uno spettacolo resista alla tentazione di dire: "Questo È TEATRO", oppure: "Questo NON È TEATRO" il che significa che voi avete già in testa, ben radicata, una idea del TEATRO. Ma le novità, anche totali, come ben sapete, non sono mai ideali, sono sempre concrete. Quindi la loro verità e la loro necessità sono meschine, seccanti e deludenti: o non si conoscono o si discutono riportandole alle vecchie abitudini. Oggi, dunque, tutti voi vi aspettate un teatro nuovo, ma tutti ne avete già in testa un'idea, nata in seno al teatro vecchio. Queste note sono scritte sotto la forma di un manifesto, perché ciò che di nuovo esse esprimono si presenti dichiaratamente e magari anche autoritariamente come tale. Brecht è stato l'ultimo uomo di teatro che ha potuto fare una rivoluzione teatrale all'interno del teatro stesso: e ciò perché ai suoi tempi l'ipotesi era che il teatro tradizionale esistesse (e infatti esisteva). Ora, l'ipotesi è che il teatro tradizionale non esista più (o che stia cessando di esistere). Ai tempi di Brecht, si potevano dunque operare delle riforme, anche profonde, senza mettere in discussione il teatro: anzi, la finalità di tali riforme era di rendere il teatro autenticamente teatro. Oggi, invece, ciò che si mette in discussione è il teatro stesso: la finalità di questo manifesto è dunque, paradossalmente, la seguente: il teatro dovrebbe essere ciò che il teatro non è.

I destinatari del nuovo teatro non saranno i borghesi che formano generalmente il pubblico teatrale: ma saranno invece i gruppi avanzati della borghesia. Queste tre righe significano infatti che l'autore di un testo teatrale non scriverà più per il pubblico che è sempre stato, per definizione, il pubblico teatrale; che va a teatro per divertirsi, e che qualche volta vi è scandalizzato. I destinatari del nuovo teatro non saranno né divertiti né scandalizzati dal nuovo teatro, perché essi, appartenendo ai gruppi avanzati della borghesia, sono in tutto pari all'autore dei testi. Una signora che frequenta i teatri cittadini, e non manca mai alle principali "prime" di Strehler, di Visconti o di Zeffirelli, è vivamente consigliata a non presentarsi alle rappresentazioni del nuovo teatro. O, se con la sua simbolica, patetica, pelliccia di visone, si presenterà, troverà all'ingresso un cartello su cui c'è scritto che le signore con la pelliccia di visone sono tenute a pagare il biglietto trenta volte più del suo costo normale (che sarà bassissimo).

Il nuovo teatro si vuole definire, sia pur banalmente e in stile da verbale, "teatro di parola". La sua incompatibilità sia col teatro tradizionale sia con ogni tipo di contestazione al teatro tradizionale, è dunque contenuta in questa sua autodefinizione. Esso non nasconde di rifarsi esplicitamente al teatro della democrazia ateniese, saltando completamente l'intera tradizione moderna del teatro rinascimentale e di Shakespeare.

Tutto il teatro esistente si può dividere in due tipi: questi due tipi di teatro si possono definire - secondo una terminologia seria - in diversi modi, per esempio: teatro tradizionale e teatro d'avanguardia; teatro borghese e teatro antiborghese; teatro ufficiale e teatro di contestazione; teatro accademico e teatro dell'underground, ecc. Ma a queste definizioni serie noi preferiamo due definizioni vivaci, ossia: a) teatro della chiacchiera (accettando dunque la brillante definizione di Moravia), b) teatro del Gesto e dell'Urlo. Per intenderci subito: il teatro della chiacchiera è il teatro in cui la chiacchiera, appunto, sostituisce la Parola (per esempio, anziché dire, senza humour, senza senso del ridicolo e senza buona educazione, "Vorrei morire", si dice amaramente "Buona sera"); il teatro del Gesto o dell'Urlo, è il teatro dove la parola è completamente dissacrata, anzi distrutta, in favore della presenza fisica pura. Il nuovo teatro si definisce di "Parola" per opporsi quindi: I) al teatro della Chiacchiera, che implica una ricostruzione ambientale e una struttura spettacolare naturalistiche, senza cui: a) gli avvenimenti (omicidi, furti, balletti, baci, abbracci e controscene) sarebbero irrappresentabili; b) dire "Buona notte" anziché "Vorrei morire" non avrebbe senso perché vi mancherebbero le atmosfere della realtà quotidiana.

Per opporsi al teatro del Gesto o dell'Urlo, che contesta il primo radendone al suolo le strutture naturalistiche e sconsacrandone i testi: ma di cui non può abolire il dato fondamentale, cioè l'azione scenica (che esso porta, anzi, all'esaltazione). Da questa doppia opposizione deriva una delle caratteristiche fondamentali del "teatro di parola": ossia (come nel teatro ateniese) la mancanza quasi totale dell'azione scenica. La mancanza di azione scenica implica naturalmente la scomparsa quasi totale della messinscena - luci, scenografia, costumi ecc.: tutto sarà ridotto all'indispensabile (poiché, come vedremo, il nostro nuovo teatro non potrà non continuare ad essere una forma, sia pure mai sperimentata, di RITO. E quindi un accendersi o uno spegnersi di luci, a indicare l'inizio o la fine della rappresentazione, non potrà mai sussistere).

Il teatro di oggi è di due tipi: il teatro borghese e il teatro borghese antiborghese. Sono di due tipi, quindi, anche gli attori. Osserviamo prima gli attori del teatro borghese. Il teatro borghese trova la sua giustificazione (non in quanto testo ma in quanto spettacolo) nella vita di società: è un fasto della gente ricca e perbene, che ha anche il privilegio della cultura. Ora, un simile teatro è in crisi: perciò è costretto a prendere coscienza della sua condizione, a riconoscere le ragioni che lo respingono dal centro di una vita di società ai margini, come qualcosa di superato e di sopravvivente. Una diagnosi che non gli è stata difficile: il teatro tradizionale ha ben presto capito che un nuovo tipo di società, immensamente appiattita e allargata, le masse piccolo borghesi, lo hanno sostituito con due tipi di avvenimenti sociali molto più adatti e moderni: il cinema e la televisione. Non gli è stato neanche difficile capire che qualcosa di irreversibile è accaduto nella storia del teatro: il demos ateniese e le élites del vecchio capitalismo sono dei remoti ricordi. Il teatro tradizionale è dunque venuto a trovarsi in uno stato di deperimento storico, che gli ha creato intorno, da una parte, un'atmosfera di conservazione miope quanto accanita, e dall'altra un'aria di rimpianto e di speranze infondate. Anche questo è un fatto che il teatro tradizionale ha saputo (più o meno confusamente) diagnosticare. Ciò che il teatro tradizionale non ha saputo diagnosticare neppure fino a un primo barlume di coscienza è ciò che esso è. Esso si definisce teatro e basta. Anche il più sciatto e mestierante degli attori, davanti al più vecchio e spelacchiato dei pubblici borghesi, sente vagamente di non partecipare più a un avvenimento sociale, trionfante e del tutto giustificato, e perciò spiega la sua presenza e la sua prestazione (così poco richiesta) come un atto mistico: una "messa teatrale", in cui il teatro appare in tutta una luce così abbagliante da accecare completamente: infatti, come tutti i falsi sentimenti, esso produce una coscienza intransigente, demagogica e quasi terroristica, della propria verità.

Vediamo ora il secondo tipo di attore, quello del teatro borghese antiborghese, del Gesto o dell'Urlo. Tale teatro ha, come abbiamo già visto, le seguenti caratteristiche: a) si rivolge a destinatari borghesi colti coinvolgendoli nella propria scatenata e ambigua protesta antiborghese; b) cerca le sedi dove dare i propri spettacoli fuori dalle sedi ufficiali; c) rifiuta la parola, e dunque le lingue delle classi dirigenti nazionali, in favore di una parola contraffatta e diabolica o del puro e semplice gesto, provocatorio, scandaloso, incomprensibile, osceno, rituale. Qual è la ragione di tutto questo? La ragione di tutto questo è una diagnosi inesatta ma ugualmente efficace di ciò che è diventato, o semplicemente, è, il teatro. E cioè? IL TEATRO È IL TEATRO, ancora. Ma mentre per il teatro borghese questa non è che una tautologia che implica un ridicolo e tronfio misticismo, per il teatro antiborghese questa è una vera e propria - e cosciente - definizione della sacralità del teatro. Tale sacralità del teatro si fonda sulla ideologia della rinascita di un teatro primitivo, originario, compiuto come rito propiziatorio o meglio, orgiastico. Si tratta di un'operazione tipica della cultura moderna: per cui una forma di religione cristallizza l'irrazionalità del formalismo in qualcosa che nasce come inautentico (ossia per estetismo) e diviene autentico (ossia un vero e proprio tipo di vita come pragma fuori e contro la pratica). Ora in alcuni casi, tale religiosità arcaica ripristinata per rabbia contro il laicismo cretino della civiltà dei consumi, finisce appunto col diventare una forma di autentica religiosità moderna (che non ha nulla a che fare con gli antichi contadini, e molto invece con la moderna organizzazione industriale della vita). Si pensi, a proposito del Living Theatre, alla collegialità quasi da ordine monacale, al "gruppo" che costituisce i gruppi tradizionali come la famiglia, ecc., alla droga come protesta, al dropping out o autoesclusione, però come forma di violenza, almeno gestuale e verbale, e insomma allo spettacolo quasi come un caso di sedizione, o, - così oggi usa dire - di guerriglia. Nella maggior parte dei casi però una simile concezione del teatro, finisce con l'essere la stessa tautologia del teatro borghese, obbedendo alle stesse inevitabili regole. La religione, cioè, da forma di vita che si realizza nel teatro, diviene semplicemente "la religione del teatro". E da tale genericità culturale, da tal estetismo di second'ordine, l'attore in gramaglie è drogato, è reso ridicolo come l'attore integrato, in doppio petto, che lavora anche per la televisione.

Sarà dunque necessario che l'attore del "teatro di Parola", in quanto attore, cambi natura: non dovrà più sentirsi, fisicamente, portatore di un verbo che trascenda la cultura in una idea sacrale del teatro: ma dovrà semplicemente essere un uomo di cultura. Egli non dovrà più, dunque, fondare la sua abilità sul fascino personale (teatro borghese) o su una specie di forza isterica e medianica (teatro antiborghese) sfruttando demagogicamente il desiderio di spettacolo dello spettatore (teatro borghese), o prevaricando lo spettatore attraverso l'imposizione implicita del farlo partecipare a un rito sacrale (teatro antiborghese). Egli dovrà piuttosto fondare la sua abilità sulla sua capacità di comprendere veramente il testo. E non essere dunque interprete in quanto portatore di un messaggio (il Teatro!) che trascende il testo: ma essere veicolo vivente del testo stesso. Egli dovrà rendersi trasparente sul pensiero: e sarà tanto più bravo quanto più, sentendolo dire il testo, lo spettatore capirà che egli ha capito.

Il Teatro è comunque, in ogni caso, in ogni tempo e in ogni luogo, un rito. Semiologicamente il teatro è un sistema di segni i cui segni, non simbolici ma iconici, viventi, sono gli stessi segni della realtà. Il teatro rappresenta un corpo un oggetto per mezzo di un oggetto, un'azione per mezzo di una azione. Naturalmente il sistema di segni del teatro ha dei suoi codici particolari, a livello estetico. Ma a livello puramente semiologico esso non si differenzia (come il cinema) dal sistema di segni della realtà. L'archetipo semiologico del teatro è dunque lo spettacolo che si svolge ogni giorno davanti ai nostri occhi e alla portata delle nostre orecchie, per strada, in casa, nei ritrovi pubblici, ecc. In tal senso la realtà sociale è una rappresentazione che non è priva del tutto della coscienza di esserlo, e ha dunque i suoi codici (regole di buona educazione, di comportamento, tecniche corporali, ecc.): in una parola essa non è priva del tutto della coscienza della propria ritualità. Il rito archetipo del teatro e dunque un RITO NATURALE. Idealmente, il primo teatro che si distingue dal teatro della vita, è di carattere religioso: cronologicamente tale nascita di un teatro come "mistero" non è databile. Ma essa si ripete in tutte le situazioni storiche, o meglio, preistoriche, analoghe. In tutte le "età delle origini" e in tutte le "età oscure" o medioevi. Il primo rito del teatro, come propiziazione, scongiuro, mistero, orgia, danza magica ecc. ecc. è dunque un RITO RELIGIOSO.

La democrazia ateniese ha inventato il più grande teatro del mondo - in versi -, istituendolo come RITO POLITICO. La borghesia - insieme alla sua prima rivoluzione, la rivoluzione protestante - ha creato invece un nuovo tipo di teatro (la cui storia comincia forse col teatro dell'arte, ma certamente col teatro elisabettiano e il teatro del periodo d'oro spagnolo, e giunge fino a noi). Nel teatro inventato dalla borghesia (subito realistico, ironico, avventuroso, d'evasione, e, come diremmo oggi qualunquista - anche se si tratta di Shakespeare o di Calderón), la borghesia celebra il più alto dei suoi fasti mondani - che è anche poeticamente sublime, almeno fino a Cechov, cioè fino alla seconda rivoluzione borghese, quella liberale. Il teatro della borghesia, è dunque un RITO SOCIALE. Col declino della "grandezza rivoluzionaria" della borghesia (a meno che - forse giustamente - non si voglia considerare "grande" la sua terza rivoluzione, quella tecnologica), è declinata anche la grandezza di quel RITO SOCIALE che è stato il suo teatro. Sicché se da una parte tale rito sociale sopravvive, a cura dello spirito conservatore borghese, dall'altra parte esso sta acquistando una coscienza nuova della propria ritualità. Coscienza che sembra essere del tutto acquisita - come abbiamo visto - dal teatro borghese antiborghese, che infuriando contro il teatro ufficiale della borghesia e la borghesia stessa, prende di mira soprattutto la sua ufficialità, il suo establishment, ossia la sua mancanza di religione. Il teatro dell'underground - come abbiamo detto - cerca di recuperare le origini religiose del teatro, come mistero orgiastico e violenza psicagogica: tuttavia in una simile operazione, l'estetismo non filtrato dalla cultura, fa sì che il reale contenuto in tale religione sia il teatro stesso, così come il mito della forma è il contenuto di ogni formalismo. Non si può dire che la religione violenta, sacrilega, oscena, dissacrante-consacrante del teatro del Gesto o dell'Urlo, sia priva di contenuto e inautentica, perché è riempita talvolta da un'autentica religione del teatro. Il rito di tale teatro è dunque un RITO TEATRALE.

Il teatro di Parola non riconosce come proprio nessuno dei riti qui elencati. [...] Non può essere RITO POLITICO dell'Atene aristotelica, con i suoi "molti" che erano poche decine di migliaia di persone: e tutta la città era contenuta nel suo stupendo teatro sociale all'aperto. Non può essere infine RITO RELIGIOSO, perché il nuovo medioevo tecnologico pare escluderlo, in quanto antropologicamente diverso da tutti i precedenti medioevi.. Il teatro di Parola nasce ed opera totalmente nell'ambito della cultura. Il suo rito non si può definire dunque altrimenti che RITO CULTURALE.»

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