MICHELE ABBONDANZA

INTERVISTA AL DANZATORE E COREOGRAFO

foto Michele Abbondanza

Cos'è per Lei la danza?

"La danza è, se vogliamo arrivare al midollo della domanda, la più alta forma di preghiera. Quando facevo il collegio da piccolino - ho fatto parecchi anni di collegio, da qui anche l'ispirazione di tanti spettacoli - mi insegnarono che quando si cantava in chiesa era come pregare 2 volte. Io potrei aggiungere ora che ballare è come pregare mille volte. Una volta i popoli ballavano nelle cerimonie di congiungimento, di matrimonio, nei riti importanti della nascita, i popoli ballavano perché il raccolto fosse ricco, ballavano per far scendere la pioggia, parliamo degli indiani d'America. Come diceva Nietzsche "non posso credere in un dio che non sappia ballare"."

Che ruolo ha la danza nella società contemporanea e Lei quale vorrebbe che avesse?

"Io vorrei che avesse un ruolo da protagonista perché è un'altissima forma di educazione: prendere coscienza del proprio corpo è prendere coscienza della propria anima, del proprio io, del proprio spirito, del modo poi di vivere, di relazionarsi con gli altri, è un profondo valore civile quello di essere completamente in quello che si fa. Noi siamo quello che facciamo, non siamo quello che pensiamo, è un approccio filosofico sul quale ad esempio le filosofie, le discipline orientali hanno fatto la loro fortuna ma dal quale noi occidentali possiamo arricchirci. Noi abbiamo un modo di essere spostato molto sul teorico, sul pensiero, la filosofia, la domanda che fa la danza invece è lo spostamento di questo nel corpo e quindi il ruolo potrebbe essere quello educativo. Ciò significa però partire dalle scuole, addirittura dalle scuole primarie, significa avere dei maestri, ma i maestri si formano nel tempo e quindi siamo ancora ai primordi di questo. Il ruolo che invece ha adesso è solo di facciata, di intrattenimento e di passatempo leggero, assolutamente legittimo ma ben lontano da quel ruolo “di preghiera” e di coscienza di sé (e degli altri), che dovrebbe avere tutto ciò che viene trasmesso attraverso il movimento, la musica, le luci, la scena… il teatro insomma!"

Michele Abbondanza photo

Quali sono secondo lei i possibili percorsi da seguire per diffondere una vera cultura della danza nel nostro Paese?

"Il percorso è sempre tortuoso. Mi rifaccio a quello che dicevo prima... bisognerebbe agire dalle radici partendo dall'educazione. In una traduzione poi politica, pratica, auspico un diffondersi dei maestri che a loro volta poi creino allievi che a loro volta creino maestri. Ci vorrebbe una profonda rivoluzione e come tutte le rivoluzioni dovrebbe partire dai gruppi, da delle esigenze e quindi dovrebbe essere sentita come un'esigenza. Quando la base si muove nei rave party, nelle feste, lì c'è una profonda richiesta che parte dal movimento. Per fare un esempio banale, le masse danzanti che si trovano nelle grosse feste dove poi si banalizza, come giusto che sia, con la musica popolare, raccontano questa esigenza, della voglia di muoversi perché il movimento ha dentro in sé una profonda verità. Quindi, da un punto di vista pratico, ci vorrebbe una profonda rivoluzione ma dovrebbe avvenire nell'animo di ognuno e auspico che questo avvenga."

Che consigli darebbe ad un giovane ballerino o una giovane ballerina?

"Soprattutto quello di non seguire i consigli degli altri quindi di non credere ai consigli ma arricchirsi un po' di tutto quello che ci circonda e farne poi un proprio modo di vedere le cose. Non credere ai consigli significa che tutti i vari punti dei maestri e quello che si impara devono poi unirsi, attraverso sé stessi, in una nuova personalità, che è poi un invito alla creatività e al non ripetere. Quindi cercare - come dire.. se incontri il maestro uccidilo - di crescere e di continuare sviluppando quello che si è imparato. Troppo speso gli allievi e gli artisti "copiano" e reiterano, ripetono per sviluppare . Questo crea una stasi, una situazione di accontentamento, sbagliata... quello che poi è la danza di codice, fermarsi all'interno del codice. La danza invece, per quello che dicevo prima della preghiera, è un inno di liberta e sopratutto di felicità. Si danza per cercare quello che si cerca per tutta la vita: la felicità."

Cosa significa quindi fondere arte e lavoro?

"Nasciamo come un unicum, è tutto sempre impastato. E' l'ignoranza che ci fa credere di decidere un giorno che, siccome ballo oppure faccio il macellaio, quando taglio la coscia di pollo non ci deve essere dell'arte in quel taglio. Ci deve essere la danza anche nel calzolaio, nell'operaio così come ci deve essere praticità anche nell'artista. L'artista è un operaio, è sopratutto un artigiano - artis, lavoro. Quindi sentimento, tecnica, spiritualità, ginnicità devono essere un unicum e appartenere alla stessa espressione di un'attività. Poi chi decide di fare il campione di salto in alto farà più attenzione a sviluppare il quadricipite, quel tipo di tecnica, sceglierà sapendo che nello sport la cosa importante è la competizione, oltre a star bene e divertirsi. Se scegli l'arte non è la competizione del più bravo, se scegli l'arte è la ricerca del Dio che dicevo prima, della felicità e quindi è chiaro che ci sarà più tendenza e attenzione al sentimento, all'emotività. Ma guai se l'emotività di un artista prevale sulla tecnica, la praticità; diventa pantomima, si diventa patetici e quindi ci vuole anche la precisione di un campione per fare l'artista, il tutto ben miscelato."

Michele Abbondanza dancer

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi (se ce ne sono) dell'aver condiviso lavoro e sentimento?

"Per 20 anni io e Antonella Bertoni abbiamo condiviso proprio tutto, poi abbiamo avuto un bimbo e abbiamo continuato per 4 anni e poi abbiamo deciso di seguire almeno una vita sentimentale diversa, separata. In questi 20 anni abbiamo condiviso tutto e per noi é stato un grandissimo arricchimento, con tutte le difficoltà che possono avere questo tipo di rapporti. Avendo poi avuto anche il riscontro successivo, che è quello di vivere separatamente la vita sentimentale ma continuando allo stesso livello di qualità la vita professionale, mi rendo poi conto che tutto sommato sia il prima sia il dopo ha avuto delle grosse bellezze e quindi non posso dire se è un vantaggio o uno svantaggio. In fondo, le coppie degli artisti non sono tanto frequenti sia nella danza che nello spettacolo, quindi può darsi che non sia un modo particolarmente vantaggioso. Per noi lo è stato, perché ricordo che si arriva a dei livelli di profondità, di intimità che poi diventa anche d'arte e danza, probabilmente inarrivabili se non da quel tipo di amore, oltre che spirituale, carnale e artistico."

Nella prossima vita Michele Abbondanza sarà...?

"Allora... Io nella prossima vita sarò..." (ride)

...un ballerino?

"Ma no, ma no, non mi faccia rifare il ballerino! Nella prossima vita mi piacerebbe fare un'altra cosa! Sa cosa sarebbe importante essere in un'altra vita, se dovesse risuccedere? Avere il regalo che ho avuto in questa vita e cioè la voglia di inventare! Voglio fare l'inventore! Perché l'artista essenzialmente è un inventore, come Archimede Pitagorico quando leggevamo Topolino. Io, Abbondanza, se dovessi rinascere vorrei rinascere Archimede Pitagorico! Quindi vorrei fare l'inventore perché il nostro ruolo, il ruolo degli artisti, di noi che abbiamo avuto la fortuna di fare un mestiere delle nostre follie, è proprio quello di inventare, inventare la realtà e parlare di quello che è difficile parlare nella vita, di felicità, di utopia. Bisogna avere utopie altissime, dobbiamo credere nell'utopia, perché l'utopia dà senso alla vita. C'è chi dice che la vita abbia un senso, ma non ha molto senso... insomma credere in qualcosa di più e quindi dobbiamo danzando cercare di essere il più felici possibile!"