Intervista alla drammaturga, attrice e regista teatrale

Sonia Antinori

Credits: Norberth

SONIA ANTINORI


1) Dott.ssa Antinori, cos’è per Lei il Teatro?

"Il Teatro è uno spazio di riflessione dell'esperienza umana. Come e al tempo stesso più di altre discipline artistiche rispecchia e amplifica la vita, la ricrea e in questo suo gesto generativo la interroga, ne indaga il senso e gli obiettivi. In fondo poco importa quali modalità usi per mettere a segno questa sua funzione; nel tempo, a seconda delle sensibilità più vibranti prima, e delle mode e maniere poi, ha espresso comportamenti, dinamiche, psicologie, forme e/o concetti in cui chi agiva, guardava o condivideva l'azione ha potuto riconoscersi e imparare a conoscersi. Ridendo, piangendo o le due cose insieme. Oggi poi la definizione di Teatro è resa più complessa dall'esplosione dei sistemi d'informazione e dai mutamenti rapidissimi che ne conseguono, sia a livello comunicativo che esistenziale. D'altro canto le necessità intrinseche del Teatro e gli eterni ritardi di politiche culturali che insistono nel trascurare le sue potenzialità socio-culturali, se non ne consolidano il ruolo, finiscono per provare il significato profondo della pratica teatrale in quanto nicchia ecologica, piattaforma di resilienza."

2) Quale pensa possa essere la funzione del Teatro nella società attuale?

"Il mondo contemporaneo sta attraversando una crisi che mette in discussione i capisaldi del pensiero novecentesco, in cui tutti noi siamo cresciuti. Negli ultimi anni e con un'accelerazione impressionante negli ultimi mesi e settimane assistiamo al corrompersi di riferimenti civili e morali, alla caduta libera dei principi su cui si fonda il nostro stesso patto di convivenza civile. Parole come Democrazia, Politica, Solidarietà, Comunità brillano per la loro ambiguità, quando non sono addirittura bandite in nome di un preteso principio di realtà. L'Utopia è stata cancellata dalla lunga ombra della Distopia e il sistema di pressione dei singoli interessi sembra l'unico praticabile, con la conseguenza di venire affrancato dalla condanna e persino dal sospetto. La barra è inclinata, la rotta perduta. Il Teatro non salverà il mondo, ma proprio per la sua naturale liquidità e capacità riflettente può aiutare a riprendere l'investigazione su di esso. Chi si occupa di Teatro oggi ne è ben cosciente, trovandosi a rivestire il ruolo di combattente e al tempo stesso di stratega, antropologo, sociologo, filosofo. La tecnica non basta più, c'è bisogno di testa, cuore, pancia e, naturalmente di una buona dose di follia che consenta di scardinare tutto questo e ricomporlo come sapeva fare Picasso con le sue immagini interiori di guerra."

3) Qual è, a Suo avviso, il male principale del Teatro contemporaneo?

"Se il miglior Teatro possibile continua ostinatamente a parlare dell'uomo (e della donna, forse converrà dire persona in questa lingua che racconta lo stato del nostro immaginario), il peggior Teatro è quello che parla di quel solo uomo, di quella sola persona, senza che sia possibile compiere il salto verso l'universalità. Il Teatro autoreferenziale, non importa se il soggetto di questa onanistica celebrazione sia attore, autore, regista o tutto insieme. Naturalmente questo vizio può avere molte facce: dalle più classiche alle più innovative; ciò non toglie che il suo effetto sia deleterio, intanto perché disincentiva il pubblico vero e poi perché contribuisce alla malformazione del nuovo pubblico. Se infatti lo spettatore si trova a riprodurre anche nello spazio del teatro l'orribile gesto di supina adesione a cui l'ha abituato la televisione e che i social coltivano con il pretesto della partecipazione attiva, resta privo di un'isola di libertà in cui esercitare il suo giudizio critico. E il Teatro si sconfigge con le sue stesse mani."

4) Come descriverebbe l’essenza e la diversità dello scrivere per il Teatro?

"La scrittura teatrale costringe alla sintesi, essendo la sua misura di norma dettata da regole di fruizione concrete. Questo implica una straordinaria precisione. Il che a sua volta significa capacità di focalizzare temi, lingua, personaggi, storie. La scrittura teatrale è chirurgia, cesello, scienza i cui attrezzi sono forbici e coltelli. E questa potenzialità cruenta deve essere visibile nella scrittura. Come se frasi e mozziconi di frasi portassero addosso l'ombra delle lame che li hanno preparati per essere detti e “compiuti” attraverso la voce."

5) Qual è stato l'incontro che ha segnato maggiormente la Sua carriera?

"Senz'altro quello con Franco Quadri, l'uomo che mi ha invitato a entrare in una cerchia di artisti, che io per ribellismo congenito ho rifiutato. Lo stesso che mi ha punito per la mia superba indipendenza e che mi ha ripescato, per poi continuare ciclicamente a riconoscermi e disconoscermi. Il nostro è stato un testa a testa molto sentimentale e che oggi, a distanza di più di vent'anni, riesco a vedere come una durissima scuola d'arte e di vita. Perché, come ho recentemente detto a una giovane collega che amo molto, se il Teatro è Politica - e per me lo è - gli si può applicare lo slogan per cui personale e politico coincidono. Se il mio lavoro aderisce alla mia essenza, vita e arte non sono disgiunte. E Franco mi ha insegnato questo, come in fondo tutti i grandi artisti con cui ho studiato e lavorato."

6) Che consigli darebbe ad un giovane drammaturgo?

"Vivere. Essere curioso di tutto. Viaggiare. Uscire la sera. Andare in pescheria alla mattina presto. Visitare un macello. Entrare negli alberghi a cinque stelle. Dormire a cielo aperto o tra le lamiere. Essere assetato e affamato. Non spegnersi mai, neanche la notte, perché i sogni sono il miele del nostro lavoro. Coltivare la memoria. Coltivare l'autonomia di giudizio. E coltivare un giardino. Perché non di sola azione vive l'uomo."

7) Qual è il Suo sogno teatrale nel cassetto?

"I miei cassetti sono profondi, ma non troppo. Perché la mia ostinazione spesso mi ha permesso di realizzare i progetti più utopistici, se non a ridosso del concepimento, magari dopo molti anni e con compagni di viaggio vecchi e nuovi. Certamente in questo caso si sono modificati, sono maturati con me e forse proprio per questo sono poi arrivati a vedere la luce. Ma se devo essere concreta posso parlare del mio sogno di ampliamento del WISE Project, un lavoro in scala europea sulla Politica, che ha coinvolto quattro Paesi (Italia, Germania, Polonia e Regno Unito - ! -), indagando gli ideali politici e sociali della generazione centrale del Novecento, attraverso il coinvolgimento dei testimoni diretti. Nel 2015 avremmo dovuto realizzare una maratona di tutti i dodici capitoli del romanzo di formazione teatrale La Politica insegnata a mio nipote, ma dato il gran numero di artisti e testimoni coinvolti i fondi non sono bastati. Ora, mi piacerebbe riprendere in mano la cosa, e ingrandirla ancora, chiamando a raccolta altri Paesi, altri testimoni, altri autori, altre storie che contribuiscano a tessere una Storia, quella di un continente, l'Europa, che oggi più che mai ha bisogno di radici, di riflessione, appunto, sui suoi fondamentali."