ANTONIO ANGRISANO: DA EDUARDO AL DOPPIAGGIO

INTERVISTA AL NOTO DOPPIATORE ITALIANO

Come ha iniziato a fare il doppiatore?

Rispetto ad altri miei colleghi, che iniziarono sin da piccoli, io decisi di intraprendere questa professione quando ero già grande, più o meno alla fine degli anni ’80. All’epoca lavoravo in Rai come attore per gli sceneggiati radiofonici. In seguito ad una minore produzione, decisi di trasferirmi a Roma per lavorare come doppiatore: una scelta dettata dal destino.

La sua esperienza in radiofonica ha influito in qualche modo sul suo approccio al doppiaggio?

Certamente, il doppiaggio è come la radio. Ricordo che il regista e autore Dante Raiteri diceva: «La radio è la voce dell’anima, mai gridare al microfono». Nel doppiaggio la voce deve aderire il più possibile al personaggio dell’attore che si sta doppiando.

Lei è figlio d’arte e a sua volta attore, quindi ha respirato la polvere del palcoscenico sin da piccolo: un doppiatore deve essere necessariamente un attore?

Posso affermare che solo un attore può fare il doppiatore, e soprattutto con un grande bagaglio di esperienza teatrale. La tecnica si apprende e si acquisisce con la pratica, la capacità espressiva e interpretativa invece si acquisiscono soltanto dopo anni di palcoscenico. Posso affermare di aver avuto la fortuna di incominciare quando il direttore di doppiaggio aveva ancora il tempo da dedicare all’attore; quando cioè si poteva ascoltare l’anello tre o quattro volte e, quindi passare all’incisione. Oggi, purtroppo, i ritmi sono decisamente più frenetici e, come dicevo prima, l’esperienza è un valido aiuto.

A quanti anni ha iniziato a calcare il palcoscenico?

La mia prima apparizione fu in Questi fantasmi, una commedia di Eduardo De Filippo; all’epoca avevo solo otto anni. Il primo ricordo del palcoscenico risale a qualche anno prima; rammento che mio padre stava facendo le prove per la commedia Il Barone di Gragnano al Teatro Verdi di Salerno. Il copione prevedeva che lui ad un certo punto baciasse la protagonista, mentre si accingevano a provare la scena mi alzai in piedi e urlai: No! Mio padre è mio! Si immagini lo stupore e le risate degli attori! Successivamente ho interpretato Giuseppe Marotta nel documentario La Napoli di Marotta e a 10 anni ho partecipato allo sceneggiato, in 12 episodi, I ragazzi di Padre Tobia dove, tra gli altri protagonisti, c’era anche mio padre.

Quindi lei ha ereditato il sacro fuoco da suo padre?

Non so dire se sia esattamente così; l’essere attori è molto complesso; necessita soprattutto di notevoli capacità, una passione per lo studio innata per poter vivere spontaneamente il sacro fuoco dell’arte. Sono cresciuto tra le quinte e i camerini, tra prove e rappresentazioni, mio padre ha lavorato per 13 anni nella compagnia di Eduardo De Filippo e anch’io ho avuto l’onore di partecipare alla registrazione RAI di due commedie del maestro ne Il Sindaco del Rione Sanità e Il Contratto. Per me è stato naturale diventare un attore, non avrei potuto fare altro, ancora oggi lo faccio puramente per passione; il Teatro in realtà non è molto remunerativo e ti costringe a stare per lunghi periodi lontano da casa e dalla famiglia a causa delle tournèe.

Che ricordi ha di Eduardo De Filippo, della sua arte e il rapporto con gli attori nelle sue commedie?

Eduardo era geniale, ma sul palcoscenico era un despota, non era per niente facile lavorare per lui. Ricordo che una volta un attore, durante le prove, non pronunciò esattamente le parole scritte sul copione, anche se il senso era quello. De Filippo bloccò la scena e gli fece ripetere la battuta! Per lui gli attori, sul palcoscenico, erano tutti uguali sia che fossero dei principianti sia dei professionisti affermati, trattava tutti allo stesso modo, non dava tregua a nessuno. Nella commedia O tuono ’e marzo, tra i protagonisti principali, oltre a mio padre, c’erano anche Paolo Stoppa e Rina Morelli, la quale si lamentava di Eduardo perché si comportava come un dittatore durante le prove. Tuttavia lavorare nella sua compagnia è stata una grande scuola, anche se alle volte pesava molto la sua rigidezza.

Oltre a suo padre, c’è qualche doppiatore o direttore di doppiaggio che è stato fondamentale agli esordi della sua professione?

Si, Emilio Cigoli. Ho avuto l’onore di lavorare con lui, sai è la storica voce di John Wayne, Gary Cooper, Gregory Peck, Burt Lancaster, Clark Gable e potrei continuare ancora, è stato sicuramente il doppiatore più rappresentativo tra gli anni ’40 e gli anni ’60. Devo molto a lui perché mi ha dato molti consigli. Inoltre ho conosciuto e lavorato anche con Riccardo Cucciolla (anche lui molto preparato), doppiatore di Roger Moore e attore radiofonico nella Compagnia di Prosa di Radio Roma.

Cosa ne pensa dei film classici che vengono ridoppiati?

Posso rispondere con un esempio: nel luglio 2004 venne immesso sul mercato in DVD il film di Sergio Leone C’era una volta in America. Il doppiaggio ex novo, anche se super visionato dal regista stesso, fu una delusione per il pubblico poiché non rispettava l’originale del 1984. I comunicati ufficiali del tempo, sottolineavano l’impossibilità di un riversamento su supporto DVD della precedente colonna sonora che, a detta dei distributori, era disturbata e piena di fruscii. La verità era assai più banale. Una colonna audio concepita in mono realizzarla in stereo è impossibile, così i distributori, per uniformare, sotto il punto di vista della qualità, le varie colonne audio in lingua inglese, italiana e francese, decisero di allestire un doppiaggio completamente nuovo. Nel propormi il secondo doppiaggio, l’emozione più grande, nel visionare il film, fu quando mi accorsi che uno degli interpreti, nella versione originale, era stato doppiato da mio padre, chiesi allora di doppiare proprio quel personaggio!

In base alla sua esperienza di doppiatore e di attore di teatro, lei pensa che ci sia interazione tra teatro e cinema? Se sì, quali sono le caratteristiche in comune e quali quelle completamente differenti?

Il cinema e il teatro sono due espressioni d’arte diverse: nel cinema l’attore, attraverso i primi piani, deve essere molto naturale, nella sua interpretazione infatti deve togliere e non aggiungere espressioni. In teatro, invece, per riuscire ad arrivare al pubblico è necessario caricare l’interpretazione, cioè teatralizzarla. Sono convinto che i due “mondi” possono interagire: infatti nel mio ultimo lavoro teatrale “Mamma Napoli”, nelle scene iniziali della commedia siamo provvisti di supporti video in palcoscenico (un esempio di un’interazione parallela tra teatro e cinema).

Avendo prestato la voce a diversi personaggi sia in film che in cartoni animati, come Totò Sapore e Momo alla conquista del tempo, dal punto di vista interpretativo tra il doppiare un attore ed il doppiare un’animazione qualidifferenze riscontra?

I cartoni animati mi divertono di più pur essendo meno pagati. Nel doppiarli si può non attenersi rigidamente all’interpretazione del personaggio e quindi avere la possibilità di spaziare, mettendoci anche del proprio. In Scubidoo ho doppiato il cucciolo, la cosa più divertente è stata proprio quella di inventare i versi o le voci buffe. Mentre in Totò Sapore, grazie alla bravura del direttore di doppiaggio, Lello Arena, ho potuto dare la mia voce a vari personaggi.

Preferisci doppiare film o serie TV?

Non facendo parte di cooperative di doppiatori, non faccio preferenze, accetto ogni tipo di lavoro di qualità.

Non le è mai capitato di rifiutare delle parti?

Nel doppiaggio non ho mai rifiutato nulla. In teatro sì, perché non mi piacevano.

In fase di adattamento dei dialoghi, lei crede, così come affermano molti critici cinematografici, che il testo originale venga in qualche modo tradito e manipolato per adattarlo al pubblico di arrivo?

L’adattamento è fondamentale e va fatto a regola d’arte. Per esempio se il dialoghista è anche un attore, ha la possibilità di capire quali potrebbero essere i problemi da affrontare nell’adattamento e quindi nell’interpretazione del doppiatore. Io non credo che ci sia un “tradimento” o una “manipolazione”, anzi, in questa fase del doppiaggio, si cerca di attenersi quanto più è possibile al testo originale per rendere al meglio il messaggio del regista e dello sceneggiatore.

Elisabetta Malgieri

Antonio Angrisano, figlio del grande attore Franco Angrisano, ha iniziato a recitare fin da bambino partecipando agli sceneggiati televisivi: La vita di Giuseppe Marotta e I ragazzi di Padre Tobia. A 22 anni ha debuttato nella compagnia teatrale di Eduardo De Filippo in La donna è mobile e La Fortuna di Pulcinella.Molto attivo in televisione, sempre con Eduardo è stato impegnato in commedie televisive quali Il Sindaco del Rione Sanità e Il Contratto. Recentemente ha recitato in Incantesimo 5, Tequila&Bonetti, Crimini Bianchi, Distretto di Polizia 8 e 9. Vanta anche molte esperienze cinematografiche come Million Dollar Baby, Ellis Island ed un'eccezionale partecipazione in numerosi sceneggiati radiofonici.