Intervista all'attore e regista teatrale

Ascanio Celestini

INTERVISTA AD ASCANIO CELESTINI


1) Ascanio, facili Cassandre evocano da sempre la morte del Teatro... come immagina il futuro del Teatro?

Il futuro del teatro, ma già il presente ce lo dimostra, è nell’essenzialità. Tutto quel che non serve è inutile o semplicemente un passatempo. È come la differenza tra la destra e la sinistra per Bobbio. L’artista di destra pensa che può approfittare dell’arte per riempirla del proprio immaginario. L’artista di sinistra pensa che l’immaginario possa aprirsi a tutti, anche agli analfabeti.

2) Qual è, a Suo avviso, il male principale del Teatro italiano contemporaneo?

Penso sia la fabbrica teatrale, cioè credere che il teatro sia una catena di montaggio dove il regista dirige gli attori, il musicista gli dà la musica, il coreografo gli insegna a muoversi con una dinamica che metta il corpo nello spazio, il drammaturgo scriva le parole, gli attori le imparano a memoria e cerchino un senso, ecc… un’azienda produttiva che trasforma il ferro in utilitaria, il pollo vivo in un panino alla cotoletta per l’Autogrill. Questo meccanismo industriale mette d’accordo i vecchi critici con le vecchie istituzioni del teatro. In quel teatro per galline da spennare sono d’accordo tutti i morti viventi del teatro del passato che invade il presente e i vivi aspiranti-morenti che ne parlano dalla tomba. E mi viene in mente mia nonna che ogni volta che succedeva qualcosa di irreparabile diceva "passa l’angelo e dice amen".

3) Cos'è per Lei il Teatro? Ci dia una Sua personalissima definizione

No, non saprei darvela. Il teatro sono i teatranti che lo fanno. Il teatro è un attore davanti a uno spettatore. E già ci siamo allargati.

4) Quale consiglio darebbe ad un giovane attore o attrice?

"Fatti pagare", gli direi, perché fare l’attore è un mestiere. E chi lavora gratis è un crumiro.

5) Qual è stato l'incontro che ha segnato maggiormente la Sua carriera?

Qual’è la domanda che hai fatto e che ha prodotto la risposta più esauriente?

6) Qual è il Suo sogno teatrale nel cassetto?

Non ho un cassetto. Scrivo sul tavolo della cucina che ha costruito mio padre quando aveva dodici anni. È un tavolo senza cassetti e i sogni stanno chiusi nella testa e fa bene ricordarli a pezzi e dimenticarli per intero. Altrimenti ingombrerebbero la vita concreta fatta di parole che dicono le cose. Insomma: una guerra tra segni e sogni.