GIORGIO GALLIONE

L'INTERVENTO DEL REGISTA SULLO STATO DELLA CULTURA IN ITALIA

foto Giorgio Gallione

"Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera dall’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Secondo i maggiori specialisti internazionali, soltanto il 20% della popolazione adulta italiana possiede perciò gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo.

E’ un dato quasi incredibile, allarmante, ma vero. Purtroppo, però, il livello di “analfabetismo” della nostra società corrisponde perfettamente con la tendenza, sempre al ribasso, di attenzione e investimento nel campo della conoscenza e del sapere, dalla scuola alla cultura. E atti e dichiarazioni pubbliche dei nostri governanti (“la cultura non si mangia” del Ministro Tremonti è una frase che rimarrà nella storia) rimandano a una volontà politica inequivocabile, purtroppo raramente smentita nei fatti anche da governi meno grossolani.

La verità è che negli ultimi venti anni lo stanziamento per le attività culturali in Italia si è in pratica dimezzato, nonostante sia ormai provato che ogni euro pubblico speso per lo spettacolo ne produca quasi cinque, e che perciò la scelta di impoverire il tessuto culturale di una comunità sia un atto, oltre che di cecità, anche profondamente antieconomico. Eticamente, ed anche politicamente, è necessario quindi rifiutare e combattere il concetto che cultura e spettacolo siano settori semi-parassitari. In Italia la spesa in Cultura nel bilancio dello stato varia tra lo 0,28% e lo 0,16% contro 8,3% della Svezia e 3% della Francia. Per il World Economic Forum, che valuta la competitività in campo culturale, l’Italia è al 48esimo posto, ultima in Europa. Tutto ciò è naturale conseguenza del clima politico dei nostri anni, che spinge a considerare la produzione artistica italiana come un covo di oppositori o di fannulloni che vorrebbero vivere a scrocco e che si occupano di effimero. Oltretutto il bilancio delle arti e del teatro non può essere solo calcolato in termini di rendimento economico, e il prestigio culturale e la crescita intellettuale di un paese come il nostro, che ha tra i suoi pochi punti di eccellenza un patrimonio artistico unico al mondo, non è un conto che si può fare solo con la rigidità di un contabile.

Ormai in tutti i paesi “evoluti” l’investimento culturale viene considerato quasi un bene-rifugio, fertili semi che daranno frutti. Inoltre è risaputo che lo studio degli indici di creatività e cultura di una comunità segnalano che a vitalità e investimento culturale corrisponde un PIL più forte e un’economia più dinamica.

Molti italici segnali fanno invece sospettare (è un eufemismo) che dietro il fragile sipario della mancanza di fondi si nasconda un cinico proposito di trasformazione quasi antropologica della società italiana: consumatori di pubblicità invece che cittadini; audience catatonica e anestetizzata invece di pubblico critico e consapevole. Ed è invece a questa forma di ascolto e partecipazione che mira lo spettacolo dal vivo, la felice marginalità del Teatro, sempre alla ricerca di dialogo e confronto, di spettatori critici, di crescita comune, di curiosità e vitalità. Da quando i cantastorie incominciarono ad arricchire la vita con le loro favole, la parola scenica non ha mai cessato di trasformare il sogno in vita, di protestare contro le ingiustizie del mondo, di soddisfare l’umana sete di utopia, di diffondere sana insoddisfazione contro routine o sopraffazione, di incarnare una realtà che nonostante sia una rappresentazione imperfetta e metaforica della vita, ci aiuta a capirla meglio, a orientarci nei labirinti dell’esistenza perché il Teatro, antico come il mondo, è patrimonio inalienabile, necessario e organico all’essere umano, unica specie narrante. In sostanza, “guai a chi si beve che la cultura non si mangia”.

Così oggi un giovane attore o un operatore culturale credo debba pensare che talento, passione, costanza e metodo (insieme a un po’ di sana follia) sono e saranno sempre indispensabili."

Giorgio Gallione