Intervista all'attore e regista

foto di Laura Piattella
INTERVISTA A LUCIANO MELCHIONNA
1) Facili Cassandre evocano da sempre la morte del Teatro... come immagina il futuro del Teatro?
"Mi sembra che la risposta sia già racchiusa nella domanda: da sempre si evoca la morte di qualcosa che non potrà mai morire. Anche se ce la stanno mettendo tutta per far sì che si estingua, non ci riusciranno mai perché proprio dove non esistono più risorse, laddove la crisi prende il sopravvento, nasce il desiderio di dire e di dare voce ad un disagio profondo e ad un’urgenza che è alla base della creatività."
2) Qual è, a Suo avviso, il male principale del Teatro italiano contemporaneo?
"È lo stesso male che imperversa nel quotidiano politico e culturale di questo paese: l’impoverimento dei valori, primi fra tutti la libertà e la meritocrazia, a favore di alleanze che preferiscono depotenziare l’audience con un’offerta di sterile ‘divertimento’ che stordisca e svuoti i cervelli e le coscienze, a scopo di lucro. Niente di più lontano dal teatro, per dirla ad esempio con il Bread and Puppet Theatre: «(…) Non dobbiamo necessariamente rivoluzionare il teatro. Può darsi che il miglior teatro, se mai ci sarà, si svilupperà dalle forme più tradizionali. Un teatro è buono quando ha senso per la gente (…) Noi vogliamo che comprendiate che il teatro non è ancora una forma fissata, né il luogo di commercio che voi pensate che sia, dove pagate per ottenere qualcosa. Il teatro è diverso. E' più simile al pane, più simile a una necessità. Il teatro è una forma di religione. E' divertimento. Predica sermoni e costruisce un rituale autosufficiente in cui gli attori cercano di elevare le proprie vite alla purezza e all'estasi delle azioni alle quali partecipano.»"
3) Cos'è per Lei il Teatro? Ci dia una Sua personalissima definizione
"Ossigeno."
4) Qual è stato l'incontro che ha segnato maggiormente la Sua carriera?
"L’incontro con una grande attrice italiana, Lina Bernardi, alla quale chiesi aiuto per comprendere se avevo il talento e la stoffa per fare questo mestiere: non solo mi diede fiducia ma si presto come spalla per il provino all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, accademia dalla quale lei stessa anni prima era uscita. L’altro incontro fondamentale per la mia carriera ritengo sia stato quello con una mecenate spontanea, Loredana Granai, che quando vide in una rassegna romana il mio primo spettacolo scritto e diretto ‘Non camminare scalza’ e seppe che non sarei mai riuscito a rimetterlo in scena per mancanza di fondi, si propose di aiutarmi senza chiedere niente in cambio, solo per amore dell’arte: perla rara nel panorama moderno, alla quale sarò grato a vita. Per quanto riguarda invece la mia formazione artistica devo dire che ho avuto il privilegio di lavorare con il genio vero italiano, Luca Ronconi, che ha segnato prepotentemente la mia poetica e il mio modo di lavorare sia come attore che come regista."
5) Quale consiglio darebbe ad un giovane attore o attrice?
"Di ascoltarsi dentro, per davvero, per scoprire se brucia un fuoco sacro che non chiede risultati facili e senza sacrifici ma che è disposto a tutto, anche a soffrire fame e freddo senza neanche accorgersene, pur di esprimersi."
6) Qual è il Suo sogno teatrale nel cassetto?
"Il mio sogno è in realtà nella mia testa e nel mio cuore. Sogno di svegliarmi un giorno e sentire di essere pronto per affrontare un grande classico. Trovo che per misurarsi con i classici di tale portata, così frequentati e continuamente rivisitati, si debba avere un’urgenza reale, un punto di vista davvero nuovo che possa aggiungere qualcosa, senza ricorrere ai modesti ‘mezzucci’ e agli stessi travestimenti contemporanei che aggiungono ben poco, spesso. Sogno di immergermi completamente in un testo/mito con una mente completamente aperta, colma e libera. E sto lavorando per arrivare a questo, anche se in molti giurerebbero che sono pronto da tempo."