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VALERIO BINASCOINTERVISTA AL DRAMMATURGO E SCENEGGIATOREMaestro, facili Cassandre evocano da sempre la morte del Teatro... come immagina il futuro del Teatro? ![]() "Grazie per il 'Maestro', che purtroppo non sono. BIGLIETTI LAST MINUTE SCONTATI DI TEATRO, CONCERTI, MUSICAL Qual è, a Suo avviso, il male principale del Teatro italiano contemporaneo? "Molto semplicemente le dico: l'ingerenza sempre più massiccia della politica. Il teatro italiano è stato totalmente levato dalle mani degli artisti. A gestire tutto ci sono in genere mediocrissimi impiegati di nomina politica. Questa ingerenza negli anni si è fatta sempre più diffusa, capillare. Il risultato è che non ci sono le persone giuste, quasi da nessuna parte. Questa tendenza ha anche, via via, trasformato il bellissimo mestiere di direttore di teatro in un mestiere noioso e frustrante. Grigio. Come la politica, appunto, che sembra ormai attrarre solo persone orgogliose della propria mediocrità culturale. Il male è che gli artisti non riescono a dialogare direttamente col pubblico. Non hanno rapporto diretto, perché in mezzo ci sono queste figure prive di qualsiasi 'visione', di talento, di passione. Spesso, tra l'altro, inamovibili dai loro incarichi per decenni. Ovviamente ci sono delle eccezioni: per esempio alcuni miei amici e amiche sono dei veri direttori artistici e dei veri direttori generali, dotati di ingegno, coraggio e passione. Ma sono pochi, e - anche se di solito hanno un grande successo col loro pubblico - non hanno vita facile, e il loro successo purtroppo non cambia il quadro generale. Vorrei dire anche a chi crede che la cura per il teatro italiano consista solo in un ritorno delle generose sovvenzioni statali, che si sbaglia. Un vero artista, un vero direttore possono fare miracoli anche con risorse molto limitate. Quelli finti, no. "
Cos' è per Lei il Teatro? Ci dia una Sua personalissima definizione "Ho iniziato da molto piccolo , avevo quattro anni. Facevo un vecchietto, e ricordo che stavo su una seggiola, e bevevo per finta da un bicchiere vuoto. Nella mia intima idea di teatro c'è ancora adesso qualcosa di infantile. Ancora oggi l'atto di mettersi una barba finta o il gesto di bere per finta è stranamente molto presente nei miei spettacoli. Quella recita infantile sta continuando, insomma, attraverso tutti questi anni. E allora forse il teatro che faccio mi libera dal peso della coscienza matura, per proiettarmi in un mondo dominato da sensazioni infantili. Anche la paura di vivere, se ne va. Nella vita di tutti i giorni, io sento molto il peso della paura. La serietà della vita mi terrorizza. Non posso pensarla, né viverla, senza una strana, persistente paura, che riguarda un po' tutto. Come un bambino che si sveglia nel cuore della notte. Il Teatro è l'unico momento della vita in cui la vita non fa paura. La posso pensare, raccontare, e perfino rivivere, sentendomi forte e al sicuro. Questa sensazione di libertà fa sbocciare dei fiori nel mio immaginario, e mi sento felice di essere un uomo tra gli uomini, commosso e perfino divertito dal nostro destino comune. Il teatro è dunque un luogo dove gli uomini vanno ( attori e spettatori in egual misura ) per essere infantili, liberi dalla paura di vivere, e commossi dell'essere uomini. È anche il luogo dove ci si riposa dall'idea di essere soli al mondo. Il teatro ti dice che la vita altrui è la tua. Che siamo un'unica persona. Il bambino di quattro anni e il suo vecchietto (che tra breve forse sarò davvero) siedono sulla stessa seggiola. Non importa se in palcoscenico o in platea. Si va a teatro (e si fa teatro) per un solo motivo: quello di sentirsi liberi di ridere e piangere tutti insieme, di partecipare alla vita tutti insieme, e di trovarla, perfino, bella." Quale consiglio darebbe ad un giovane attore o attrice? "Bene, la chiameremo Elvira, per citare un illustre esempio: Cosa desidera resti in chi esce da un Suo spettacolo? "Un po' di piacevole sovreccitazione. Un senso disordinato e divertito di simpatia per la vita e per il gioco (e per gli attori)." Qual è stato l'incontro che ha segnato maggiormente la Sua carriera? "Carlo Cecchi e Amleto sono stati il mio 'punto di non ritorno'. Fare un vero incontro significa questo; attraversare il punto di non ritorno. Mi è successo di nuovo, anni dopo, incontrando e frequentando Geraldine Baron. I suoi insegnamenti e la sua guida mi mancano moltissimo. Ora che ci penso ha dato una svolta alla mia carriera anche Ivo Chiesa, che ha creduto per primo in me come regista, senza che io nemmeno avessi mai pensato di volerlo fare. E adesso mia moglie Veronica, che attualmente produce i miei spettacoli, e mi guida insegnandomi la difficile arte di tenere insieme tutto: amore, battaglia, studio, doveri, fantasia, soldi, salute, fatica, successo, vita, morte, risate, miracoli, lacrime, debutti, bambini, ambizione, sconfitta, sogni, ieri, domani." Qual è il Suo sogno teatrale nel cassetto? "Ne ho più d'uno: Se non avesse fatto Teatro, cosa avrebbe voluto fare nella vita? "Non ci ho mai pensato. Mi pare di non aver mai voluto fare altro, fin da molto piccolo. Perché, non so. Non si andava a teatro nella mia famiglia, e il mondo degli attori mi era totalmente estraneo, lontanissimo. Eppure.. Credo che si chiami 'vocazione', anche se la parola ci riporta a qualcosa di mistico. In fondo, non ho mai potuto veramente scegliere: sapevo che avrei fatto questo, e l'ho fatto. Tuttavia, nei momenti di sconforto, quando penso con invidia alle 'vite altrui', mi piace immaginare che avrei voluto essere uno psicologo. Altre volte un marinaio. Ma il mestiere più bello di tutti è il fotografo." Attraversiamo un momento di profondissima crisi sociale prima ancora che politica ed economica... quali a Suo avviso le cause e quali le possibili soluzioni? "È una crisi di coraggio. Di idee. Di vitalità. Di educazione. Di fiducia nell'intelligenza. A fronte di deficit come questi, chi se ne frega dei soldi? Mi sembrano il problema minore. La crisi è non sapersi mai migliorare. C'è un epidemia di tristezza e di cattiveria, in giro, che dilaga grazie al propagarsi dell'imbecillità più greve, che sembra ormai dominare tutto: dalle televisioni ai partiti, dai comportamenti di massa ai nuovi modelli 'culturali'. Sembra quasi che le persone migliori si siano ritirate, che si occupino d'altro, che abbiano rinunciato a prendersi la responsabilità della loro intelligenza, della loro sensibilità. Dietro ogni crisi sociale c'è un deficit di cultura e di sensibilità. Io non ho alcun titolo per parlare di queste cose, ma se mi si chiede una possibile soluzione, mi pare di non aver dubbi : se ci si occupa dei bambini e dei ragazzi, se si riparte dalla scuola e dalla educazione, se quei pochi denari rimasti si investissero tutti lì, tempo vent'anni e avremo un mondo migliore. La nostra generazione di imbecilli cronici dovrebbe riuscire a creare degli anticorpi (la scuola, l'educazione alla cultura e al senso civico) capaci di debellare se stessa in pochi anni." |