EUGENIO BARBA

INTERVISTA ESCLUSIVA© AL FONDATORE DELL'ODIN TEATRET!

Eugenio Barba interview intervista

1) Nell'era della tecnologia e della realtà virtuale, qual è e quale sarà il posto del Teatro?

Da maggioritario come era all’inizio del Novecento, oggi il Teatro è una forma minoritaria tra i tanti generi di spettacolo della nostra società. Sembrerebbe una situazione sfavorevole, eppure la storia del Teatro dimostra che proprio quando la nostra professione si confrontò al cinema, il vero spettacolo della contemporaneità, riuscì a trasformarsi e scoprire nuove forme, visioni e obiettivi che andavano aldilà dell’impresa commerciale che il Teatro era stato fino allora. Vedo con fiducia il futuro del Teatro. Osservo l’afflusso ininterrotto di nuove generazioni che si accostano a questo mestiere alla ricerca di un senso personale e professionale. Saranno queste generazioni a inventare il modo di soddisfare le diverse necessità di un rapporto e un contatto diretto tra attore e spettatore nonostante le novità tecnologiche e le mutate condizioni sociali.

2) Quale consiglio darebbe ad un giovane attore?

I consigli, specialmente quando sono gratuiti, non valgono molto. So per esperienza che chiunque vuol essere attore tenta di evadere dalla sua situazione biografica. Direi che è segnato da una ferita che lo spinge verso questo mestiere incerto, dal duro apprendistato e dall’ancora più difficile attuazione. Vorrei ricordare che la scelta di fare Teatro è una necessità personale, e che in fondo dovremmo pagarlo con le nostre proprie tasche.

3) Da tempo chiediamo ai nostri lettori "Cos'è il Teatro?" Abbiamo raggruppato centinaia di risposte. Qual'è la Sua?

Io ero emigrante in Norvegia e il Teatro è stato il mio modo di filtrare e socializzare la mia differenza. Questo mestiere è stato un rifugio che mi ha permesso di costruire l’Odin Teatret, una minuscola comunità internazionale che condivide valori artigianali e il desiderio di lottare contro la natura del Teatro basata su rapporti passeggeri non solo con gli spettatori, ma anche tra gli attori stessi.

posta da un nostro lettore - 4) Ancora oggi vige il principio del luogo comune secondo il quale c'è bisogno che gli italiani vadano all'estero per farsi apprezzare. Sarà stato un caso, ma è capitato anche a me: una mia opera, scritta oltretutto in lingua napoletana, che parlava del problema rifiuti, ignorata in Italia, se non dal Presidente Napolitano con una lettera istituzionale di riconoscimento, è stata tradotta in diverse lingue, tra cui l'inglese e presentata a diverse università americane. E' un caso o la consuetudine?

Capita a volte che qualcuno ce la faccia e acquisti una certa nomea dopo aver lasciato il proprio paese. Nel Teatro direi che questo è normale. Sin dall’antichità gli attori sono stati uccelli migratori. Io mi considererei un caso, con altri come per esempio Paolo Magelli. L’identità poliedrica e originale dei teatri nell’Italia delle ultime decadi è opera di artisti in loco, da Eduardo de Filippo, Dario Fo e Carmelo Bene, al teatro delle Albe, Marco Paolini, Ascanio Celestini, per non parlare di teatri riconosciuti all’estero e con una capacità di durata e inventiva come il Teatro Tascabile di Bergamo, il Cantiere Teatrale Koreja o il teatro Potlach.