ANTONIO CALENDA

INTERVISTA AL REGISTA E DIRETTORE DEL TEATRO VERDI DI TRIESTE

foto Antonio Calenda

Maestro, facili cassandre evocano da sempre la morte del Teatro: qual è secondo Lei il futuro del Teatro?

"E’ stata sempre in qualche modo presagita una fine del Teatro: da quando io sono ragazzo e ho cominciato a fare questo mestiere già le cassandre dell’epoca presagivano la fine ma questa fine, come diceva Silvio d’Amico, non arriva mai perché il Teatro è una sorta di naturale espressione dell’uomo, è una forza indomita che è necessaria non solo alla vita civile dell’uomo, perché è l’unico luogo dove si attua un rito, che è quello di convocare persone in carne ed ossa per creare il rito dell’immaginazione, dell’allusione, della metafora forte e quindi è un luogo imperituro..

Io credo che la necessità del Teatro è una necessità che è intrinseca alla natura dell’uomo. Il Teatro è nato come necessità dell’essere collettività, è un’attività collettiva: quando si è insieme ad altri il Teatro diventa un forte momento speculare, è il luogo dove si possono celebrare le dicotomie della vita, si può alludere alle grandi difficoltà dell’esistenza, alle contraddizioni dell’esistere e quindi il Teatro è una forma d’arte che sublima non solo il mistero della vita ma ci dà la possibilità di porci domande assolute, quelle che riguardano il senso della nostra esistenza, questo però accade secondo l’antico sortilegio che uomini simulino di fronte ad altri uomini.

Questa liturgia del Teatro è una liturgia da una parte religiosa, dall’altra civile, ascendenze che diventano un dato necessario perché il rito si svolge fra uomini in carne ed ossa, per quello in qualche modo è un rito che, in forme diverse, forse per ora inusuali, che non riusciamo neanche ad immaginare, rimarrà sempre, perché connaturale al pensiero dell’uomo, alle sue esigenze primigenie del vivere in collettività."

Qual è la qualità più importante che ricerca negli attori che lavorano con Lei?

"Ricerco innanzitutto il desiderio di fare Teatro non perché è un luogo delle vanità ma perché lo sentono come una missione. Credo che il Teatro sia una missione oggi, con le difficoltà che ci sono per poterlo attuare, una professione di tali difficoltà che chi vi si dedica o è animato da una grande passione morale, civile, perché sa che il Teatro risponde alle esigenze antiche ma sempre attuali, quelle di cui dicevo prima, allora l’attore che in qualche modo sente il Teatro come una missione perché sa che col Teatro può avvicinare persone che dal Teatro si attendono non risposte ma problemi, problemi intorno a cui pensare, intorno a cui esprimere il giudizio morale che ognuno deve poter esprimere, se l’attore sente di essere intermediario fra un’antica e attuale esigenza di ricognizione delle grandi problematiche del vivere assieme, se si sente mediatore di grandi valori, allora l’attore è per me fondamentale. Se invece un attore fa Teatro solo perché ama esibirsi, già per me è un dato definitivo…

Io ho lavorato con tutti i grandi attori di questi ultimi 30, 40 anni e quando mi sono imbattuto nei grandi, nei grandi c’era questa necessità, oscura ma determinata, impalpabile ma enorme allo stesso tempo, quella esigenza di poter di parlare ai propri contemporanei attraverso questo strumento meraviglioso che è il Teatro. Io che di solito mi sono dedicato all’individuazione e al lancio di giovani attori mi sono sempre dedicato a coloro che sentivano il Teatro come una sorta di implacabile, difficile ma inesorabile missione di penetrazione nei problemi della vita e allo stesso tempo disposti a creare una sorta di messa laica… colui che si sente un interprete di qualcosa di antico ma di perennemente attuale, allora in costui io intravedo delle grandi qualità. Ho lanciato attori che erano sconosciuti perché avevano queste grandi capacità e caratteristiche e non certo mi sono dedicato a coloro che invece fanno il mestiere per vile civetteria o per esibizionismo."

Che consiglio darebbe ad un giovane attore o una giovane attrice?

"Innanzitutto approfondire il perché uno ama il Teatro. Secondo, v’è bisogno nei giovani di una preparazione che oggi spesso non si nota, una preparazione di tipo classico, la lettura dei grandi testi, la riflessione sui pilastri del pensiero che spesso noi troviamo nel Teatro, perché il Teatro è anche filosofia. Se uno si imbatte nei grandi testi dell’antica Grecia, chiaramente sono testimonianze, oltre che di vicende inerenti al mito sono grossissime metafore sulla realtà contemporanea e quindi sono modelli che portano dentro una grande tensione filosofica.. non a caso questi testi sono vicini ai grandi filosofi coevi di quel periodo: non possiamo pensare ad Euripide se non pensiamo ai sofisti, non possiamo pensare ad Eschilo o a Sofocle se non pensiamo ai grandi turbamenti cui faceva da detonatore la grande filosofia dell’epoca.. sono testimonianze di grande, altissimo pensiero.

Un attore che deve fare Teatro deve sapere che il Teatro è la palestra del pensiero e quindi deve leggere, deve essere consapevole.. l’ignoranza non è possibile in un attore; un attore deve sapere il perché dell’esistenza del Teatro e il perché della propria missione ed è per questo che io prediligo nei giovani attori, ma anche negli attori tout court, coloro che sanno trovare nel proprio ruolo e individuare nel testo che stanno rappresentando tensioni ben al di là di ciò che appare o perlomeno che sanno intendere un testo come testimonianza culturale di un’epoca."

Cosa manca secondo Lei al Teatro italiano, di cosa ha bisogno?

"Il Teatro italiano ha bisogno innanzitutto di grande concentrazione, di attenzione ai giovani perché fra i giovani spesso ci sono dei talenti che non riescono ad esprimersi, per disattenzione o perché attualmente è difficile fare Teatro perché lo Stato italiano è cosi depresso che non si accorge che il Teatro, così come la musica, è una delle grandi funzioni della cultura e senza cultura un paese non può che degradarsi.

Noi siamo sul degrado attuale di tutto un sistema perché la musica è completamente negletta, il Teatro ha subito tagli indecorosi in questi ultimi anni così come i Beni culturali giacciono in una sorta di disastro epocale. Se uno stato non predilige la cultura, manca a tutto questo assetto l’ossigeno. Perciò, manca al Teatro italiano l’attenzione da parte dei governanti che finora, negli ultimi 20 o 30 anni, di tutto si sono interessati fuorché di dare un senso all’identità del nostro paese e l’identità del nostro paese si raggiunge attraverso il presidio che bisogna dare al paese attraverso la cultura.

La cultura è un deterrente ai mali della viltà, della mediocrità in cui si avvolge la classe politica che è fatta da persone complessivamente, biecamente ignoranti e quindi sa che cosa può interessare ai politici della cultura.. Non sanno che un paese senza cultura langue, muore e non può dedicarsi ai giovani che sono l’unico strumento di presenza.. la presenza dei giovani è una presenza testimoniale, è una presenza che ha un valore ulteriore e quindi io credo manca al Teatro italiano proprio l’attenzione che lo Stato italiano non dedica alla cultura.

Il nostro Paese, che ha generato generi culturali che vengono amati e apprezzati all’estero, non assicura alla nostra sopravvivenza quella minima attenzione che sarebbe doverosa, per cui tutti i grandi progetti che uomini sagaci e preveggenti inventarono nel dopoguerra, penso a Paolo Grassi, a Strehler, che attraverso il modello del Teatro pubblico pensarono di fare del Teatro un grande strumento di civiltà, di conoscenza, se penso ai sogni di queste persone, ai loro sforzi, ai loro sacrifici, oggi posso dire che sono state solo utopie disattese perché lo Stato italiano non provvede al mantenimento della cultura. Diciamo a livello generico e generale che al Teatro italiano manca l’attenzione dovuta da chi dovrebbe dare a questa presenza un senso dell’identità."

Quali sono i Suoi prossimi progetti?

"In questo momento ho appena fatto uno spettacolo molto significativo su Pasolini con un grande, grande attore come Roberto Herlitzka, uno di quegli attori che svolge il suo mestiere come se fosse una missione a livello quasi sacerdotale, possiamo dire uno dei 3, 4 attori che danno senso al nostro mestiere e al Teatro italiano complessivamente, con lui ho fatto uno spettacolo scritto da Gianni Borgna su Pasolini che ha avuto recentemente al Mittelfest di Cividale del Friuli un grande successo, ma grande veramente, che sarà a Roma e in altre città quanto prima, poi sto mettendo in scena con Simone Cristicchi, che è un attore-cantante di grande qualità, per cui sto immaginando uno spettacolo su una tragedia italiana che non tutti o pochi conoscono, i giovani soprattutto non conoscono: il grande esodo delle genti italiane dall’Istria e dalla Dalmazia quando queste terre divennero slave. Racconteremo con le canzoni e la prosa adeguata questa grande epopea e poi riprenderò uno spettacolo che ha avuto anch’esso un grande successo, di un grande drammaturgo come Ibsen, che ho messo in scena l’anno scorso e che quest’anno riprenderà la sua vita andando ad inaugurare la stagione al Piccolo Teatro di Milano, debuttando anche a Roma e in tantissime altre città italiane, con un’attrice molto significativa, giovane, Manuela Mandracchia ma con tanti, tanti altri giovani perché è proprio sui giovani che la mia politica di teatrante ormai non più giovane si vuol esprimere, perché, come dicevamo prima, è attraverso i giovani che non solo si può rinnovare il Teatro italiano ma si può rilanciare una idealità nuova, diversa, forse più sostanziale…"