Intervista al regista fondatore della Compagnia Phoebe Zeitgeist

Giuseppe Isgrò

INTERVISTA A GIUSEPPE ISGRÒ


1) Facili Cassandre evocano da sempre la morte del Teatro... come immagina il futuro del Teatro?

Non riesco a immaginarmi un "futuro del Teatro" che abbia precise connotazioni. Sicuramente non riesco nemmeno a immaginarmi che il Teatro possa morire perché è un linguaggio talmente peculiare e unico da diventare necessario; sebbene in paesi come l'Italia sia sempre più marginalizzato o imborghesito. Un'arte dell'incontro che si produce dal vivo non può smettere d'esistere in quanto rito collettivo. Immaginiamo un mondo dove, non so, la musica sia solo su supporto o in rete e mai più eseguita davanti a un pubblico?

2) Qual è, a Suo avviso, il male principale del Teatro italiano contemporaneo?

Penso che i mali siano tanti e differenti, su diversi piani.
Quello di essere diventato una nicchia molto specifica che poco comunica con gli altri ambiti dell'arte contemporanea. Poi quello di essersi staccato, almeno nella maggior parte dei casi da una visione critica e "politica" del mondo presente, riducendosi a ripetitivo atto estetico, nel migliore dei casi, o a mera e svuotata forma d'intrattenimento - ecco in tal modo il Teatro finisce per sembrare una forma estetica un po' vetusta e ammuffita di cui si farebbe tranquillamente a meno.

3) Cos'è per Lei il Teatro? Ci dia una Sua personalissima definizione

Una forma d'arte che permette di creare relazioni continue; alimentata dal denudamento, dall'abisso, dall'erotismo, dalla conquista e dalla perdita continua. Un magnifico delirante Inferno.

4) Qual è stato l'incontro che ha segnato maggiormente la Sua carriera?

Non amo rispondere a questo tipo di domande perché mi sembra sempre di escludere qualcuno e penso che per resistere nel portare avanti questo lavoro si debba invece essere inclusivi (ferocemente anche se in maniera pur sempre ragionata e in qualche modo selettiva). Quindi, al di là degli incontri immateriali, ossia con gli Autori e le loro opere (tra questi, su tutti, cito quello avuto nell'adolescenza con la figura di Rainer Werner Fassbinder), direi che è stato fondamentale l'incontro con la compagnia del Teatro dell'Elfo e con Ferdinando Bruni, in particolare. Ma nulla sarebbe avvenuto nella mia vita professionale (e in questo caso intima, perché questo lavoro annulla le distinzioni tra sfera pubblica e sfera privata) senza le persone che fanno parte (o hanno fatto parte) del mio gruppo di lavoro Phoebe Zeitgeist: Francesca Frigoli, Giovanni Isgrò, Margherita Ortolani, Francesca Marianna Consonni, Antonio Caronia, Dario Muratore, Karin Freschi, Olga Durdevic, Woody Neri, Alessandra Novaga, Andrea Barettoni, Giovanni De Francesco, Elia Moretti, Giuseppe Marzoli, Francesca Cianniello, gli attori che hanno lavorato in singoli nostri spettacoli e molti altri ancora.

5) Quale consiglio darebbe ad un giovane attore o attrice?

Quello di accettare la fatica, di perdersi e ritrovarsi ogni giorno non accontentandosi mai. Quello di vivere un costante attraversamento in equilibrio sul baratro. Di non considerare mai il proprio percorso come semplicemente "professionale": non un mestiere ma una scelta di vita, una missione che implica altre scelte, scelte estetiche, politiche e di responsabilità verso il mondo. Queste cose mi sentirei di affermarle, in verità, parlando con ogni giovane artista, indipendentemente dal linguaggio che pratica. Con gli attori, essendo essi delle creature enormi e fragilissime al contempo, che incarnano una sintesi dell'esistenza davanti a un pubblico, il discorso diviene ancora più urgente, io credo.

6) Qual è il Suo sogno teatrale nel cassetto?

Non ho particolari sogni nel cassetto perché cerco di vivere fortemente ancorato al presente. Desidero che i miei spettacoli vengano visti da sempre più persone, che ricevano un supporto economico, istituzionale e critico sempre più adeguato. Desidero di poterne produrre di nuovi avendo più mezzi a disposizione.